Iniziare a scrivere un libro ha sempre un che di spaventoso e un frammento di magia, così come cominciare a tenere un discorso, costruire una casa, partire per un viaggio.
Italo Calvino era uno che di cominciare libri se ne intendeva, tant’è che ha scritto un libro, Se una notte d’inverno un viaggiatore, fatto di soli inizi.
L’inizio, spiegava Calvino in alcuni appunti per quelle che sarebbero dovute essere le sue Lezioni americane, «è un momento cruciale […] il momento della scelta: ci è offerta la possibilità di dire tutto, in tutti i modi possibili; e dobbiamo arrivare a dire una cosa, in un modo particolare».
È, ancora, «il distacco dalla potenzialità illimitata e multiforme per incontrare qualcosa che ancora non esiste ma che potrà esistere solo accettando dei limiti e delle regole».
Ecco: limiti, regole, che pare c’entrino poco con la creatività, e invece c’entrano tanto. Siamo umani e la sovrabbondanza di possibilità ci manda in tilt.
Se abbiamo troppe opzioni a disposizione, scegliere diventa complicato, complicatissimo, una sfida a tratti insuperabile.
E come si fa allora? Come si può iniziare a scrivere un libro e mettere da parte tutte le altre idee che hai, le altre cose che vuoi dire, le altre storie da raccontare?
Oro, dopo aver passato ore a fissare schermi con cursori lampeggianti in attesa della famosa idea giusta, vorrei darti alcuni consigli per superare questo blocco e scrivere il tuo incipit.
Vedremo prima come far sì che iniziare diventi meno spaventoso, e subito dopo vedremo alcune delle caratteristiche che un buon incipit può avere. È proprio il caso di dirlo: cominciamo.
Come iniziare a scrivere un libro? 3 consigli molto pratici per battere l’indecisione
Semplicemente inizia
Già, ti sembrerà banale, ma questa è la cosa principale e riuscirci significa assumere una nuova consapevolezza.
Hemingway diceva che la prima bozza è una merda, e di solito – tranne rarissime eccezioni, ma non siamo qui a parlare di eccezioni – è vero.
Scrivere la prima bozza è nient’altro che dare una prima forma che diamo ai nostri pensieri e a quello che vorremo dire.
Ecco, mettitelo in testa, la bozza non sarà mai perfetta, avrà sempre dei difetti, potresti anche trovarti a buttarla interamente via.
Però inizia, nel peggiore dei casi avrai un punto di partenza da dove ricominciare.
Prendi l’abitudine di scrivere
Quante parole dovresti scrivere? Per darti un’idea ecco quanto sono lunghi alcuni libri famosi:
- Guerra e pace di Tolstoj è composto da 561,304 parole
- Infinite Jest di David Foster Wallace da 483,994 parole
- Sono 29,996 le parole dentro La fattoria degli animali di George Orwell
- E sono 26,601 quelle di Il vecchio e il mare del già citato Ernest Hemingway
E tu? Quante ne dovresti scrivere? Beh, immagina la tua storia e prova a capire quale sia il ritmo di cui hai bisogno.
Alla fine potresti decidere di iniziare a scrivere un libro da 30,000 parole oppure da 100,000. In ogni caso c’è uno e un solo modo per scriverlo: farlo un po’ per volta.
Devi prendere l’abitudine di scrivere, e questo accomuna tutti gli scrittori. Puoi decidere di scrivere tutti i giorni appena ti svegli, in alcuni giorni specifici oppure come vuoi tu, ma scrivi.
Possibilmente datti un obiettivo, di tempo o di parole: potrebbe essere, per esempio, 300 parole per volta, visto che 300 è il numero di parole che spesso sta in una pagina stampata.
L’editing ti salverà
Non so a te, ma l’idea che la prima bozza sia solo un temporaneo punto d’inizio rassicura molto, e penso che questo dovrebbe liberarti da blocco dello scrittore, sindrome del foglio bianco e compagnia scrivente.
Molto spesso iniziare a scrivere un libro è complesso perché ti carichi di aspettative e altrettanto spesso ti sembra che tutto ciò che scrivi non sia mai abbastanza buono.
E poi ricordo: potresti avere le migliori idee per scrivere un libro, ma finché restano nella tua testa saranno nulla e, ti svelo un segreto, presto svaniranno e te ne dimenticherai.
Comincia a scrivere, scrivi ogni giorno, fai il meglio che puoi e non metterti troppa pressione.
In tanti dicono che la vera scrittura è l’editing, ed è così. È quando ci si mette a fare l’editing che la tua bozza diventerà il libro che hai in mente o, perché no, diventerà qualcosa di diverso e migliore.
Scrivere l’incipit di un libro: le 3 possibili funzioni delle prime pagine
Non esiste la formula magica per scrivere l’incipit di un libro. Non credo nemmeno molto nelle regole per scrivere l’inizio di un libro. Ci sono però delle cose che un buon incipit fa, dovrebbe fare, può fare. Non è detto che debba farle tutte o tutte insieme, ma possono essere degli spunti per iniziare un libro.
Ci ho pensato a lungo, e secondo me tre caratteristiche che un incipit può avere sono queste:
Creare suspence e curiosità
Se ci pensi, la prima pagina è quella che più viene letta per qualunque libro, dunque quello che ci metti dentro ha una certa importanza.
Diciamo che la prima pagina è il biglietto da visita del tuo libro e, sebbene quest’idea possa metterti una certa dose d’ansia, ci sono un po’ di stratagemmi e artifici per non cadere nel blocco dello scrittore.
Ora, proprio perché è il tuo biglietto da visita, secondo me un buon incipit dovrebbe creare suspence o almeno la curiosità di sapere che succede in quel libro.
Ti faccio qualche esempio, e iniziamo da 1984 di George Orwell:
Era una luminosa e fredda giornata d’aprile, e gli orologi battevano tredici colpi. Winston Smith, tentando di evitare le terribili raffiche di vento col mento affondato nel petto, scivolò in fretta dietro le porte di vetro degli Appartamenti Vittoria: non così in fretta tuttavia, da impedire che una folata di polvere sabbiosa entrasse con lui.
Tredici colpi? Che razza di orologi sono? E qualche riga dopo Orwell continua così:
Winston si diresse verso le scale. Tentare con l’ascensore, infatti, era inutile. Perfino nei giorni migliori funzionava raramente e al momento, in ossequio alla campagna economica in preparazione della Settimana dell’Odio, durante le ore diurne l’erogazione della corrente elettrica veniva interrotta.
Cos’è la Settimana dell’Odio? In poche righe, come vedi, ci sono diversi elementi strani, inusuali e che ci fanno pensare che c’è proprio qualcosa da sapere.
Puoi però creare curiosità anche con uno stratagemma opposto: dire sin da subito come andrà a finire. Lo fa magistralmente Gabriel García Marquez in Cent’anni di solitudine:
Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.
Vedi, sappiamo già che il colonnello Aureliano Buendía finirà fucilato, ma questo non diminuisce di un grammo la voglia di ascoltare la storia, anzi, se possibile, l’aumenta.
Regolare la voce del narratore
Si dice spesso che uno scrittore debba «trovare la sua voce», che un libro ben scritto debba avere una voce. Mi sono sempre immaginato questo processo, questo fatto di trovare una voce, come simile al trovare la giusta stazione radio.
Ti metti lì e tic, sposti di poco verso sinistra, tac, sposti ancora verso sinistra, tic, muovi a destra, tac, ci sei, trovata la stazione che volevi. È un lavorio lento e necessario, da fare anche prima di iniziare a scrivere un libro, e che poi si può manifestare tutto nella prima pagina o addirittura nelle prime parole.
Leggi, per esempio, l’incipit di Il giovane Holden di Salinger:
Se davvero volete sentirne parlare, la prima cosa che vorrete sapere sarà dove sono nato, e che schifo di infanzia ho avuto, e cosa facevano e non facevano i miei genitori prima che nascessi, e altre stronzate alla David Copperfield, ma a me non va di entrare nei dettagli, se proprio volete la verità. Primo, è roba che m’annoia, e secondo ai miei verrebbero un paio di ictus a testa, se andassi in giro a raccontare i fatti loro. Su certe cose sono permalosissimi, specie mio padre. Simpatici, per carità, ma anche parecchio permalosi. E poi non mi metto certo a farvi la mia stupida autobiografia o non so cosa. Vi racconterò giusto la roba da matti che mi è capitata sotto Natale, prima di ritrovarmi così a pezzi che poi sono dovuto venire qui a stare un po’ tranquillo.
È sfrontato, dissacrante, ti arriva diretto in faccia, è Holden e tanto basta.
Un altro e più recente esempio è l’incipit di Sangue di Giuda, un romanzo davvero molto bello di Graziano Gala, dalla lingua sperimentalissima – un dialetto che è un po’ pugliese, un po’ campano. E comincia così:
L’altra sera s’han arrubbato ‘o televisore. Io una sola cosa tenevo qua, a galleggiare dintra ‘a stanza: ‘o televisore. Tutti agg’ chiamato, a tutti agg’ chiesto aiuto, ma i carabinieri erano impegnati a sventare ‘e rapine, mia figlia a dimenticarsi che esistesse nu papà e i vicini, come statuette d’o presepe, stavano nnanzi ‘o televisore (che il loro, fortunati, non se l’è futtutu nisciunu).
Veniamo immediatamente a contatto con la lingua di Giuda, e Giuda in poche righe comincia a diventare una persona, c’è già qui buona parte di caratterizzazione del personaggio. È un uomo solo, solo lui e il televisore, sua figlia che s’è dimenticata di lui, i vicini indifferenti, eppure c’è uno sprazzo d’ironia, e bastano poche righe per dire tutto.
Far acclimatare il lettore
Io penso che ogni libro abbia il suo sapore, il suo odore, il suo clima, pure la sua stagione giusta in cui leggerlo. Per dire: Ferito a morte di Raffaele La Capria va letto d’estate, Il processo di Franz Kafka d’autunno – è probabilmente il segno di qualche disturbo mentale che non so di avere.
Stagioni a parte, sia Ferito a morte che Il processo sono per me ottimi esempi della terza e ultima funzione dell’incipit di cui voglio parlarti. L’incipit può e dovrebbe far immergere sin da subito nell’atmosfera del romanzo, dare appunto un assaggio di quel suo sapore, odore, clima.
Queste sono le prime pagine del Processo: «Qualcuno doveva aver denunciato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato». E poco più avanti, parlando di un uomo nella stanza di K.:
Era snello eppure ben piantato, indossava un vestito nero attillato che, come gli abiti da viaggio, era dotato di diverse pieghe, tasche, fibbie, bottoni e di una chiusura e che di conseguenza, benché non fosse chiaro a cosa dovesse servire, sembrava particolarmente pratico.
È tutto così perturbante, misterioso, anche angosciante, e ci fa respirare a pieni polmoni l’aria dell’assurdo che poi ci circonderà pagina dopo pagina. È un sentimento che possiamo capire ancora meglio accostando a queste pagine le prime righe di un altro capolavoro: Lo straniero di Albert Camus.
Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Non significa niente. Forse è stato ieri.
Così comincia Camus, e tanto basta a immergerci nella storia, nella mente di Meursault, a presentarci questa realtà straniata e straniante.
Infine però voglio chiudere con quello che è uno degli incipit più belli della letteratura italiana, ovvero quello di Ferito a morte:
La spigola, quell’ombra grigia profilata nell’azzurro, avanza verso di lui e pare immobile, sospesa, come una fortezza volante quando la vedevi arrivare ancora silenziosa nel cerchio tranquillo del mattino. L’occhio fisso, di celluloide, il rilievo delle squame, la testa corrucciata di una maschera cinese – è vicina, vicinissima, a tiro. La Grande Occasione. L’aletta dell’arpione fa da mirino sulla linea smagliante del fucile, lo sguardo segue un punto tra le branchie e le pinne dorsali. Sta per tirare – sarà più di dieci chili, attento, non si può sbagliare! – e la Cosa Temuta si ripete: una pigrizia maledetta che costringe il corpo a disobbedire, la vita che nel momento decisivo ti abbandona. Luccica lì, sul fondo di sabbia, la freccia inutile. La spigola passa lenta, come se lui non ci fosse, quasi potrebbe toccarla, e scompare in una zona d’ombra, nel buio degli scogli.
Ferito a morte è un libro marino e onirico, che pare risplendere della luce azzurra di Capri, e, di nuovo, è tutto qui, all’inizio, ed è uno dei mille e uno modi per iniziare a scrivere un libro.