Un anonimo stroncatore amazoniano – che, per curiosa coincidenza, si chiama Francesco – ha definito il suo romanzo d’esordio «un incrocio tra Hanno tutti ragione di Sorrentino, scritto peggio, e un qualsiasi film comico/drammatico degli ultimi dieci anni, costruito meglio». L’anonimo stroncatore, al di là delle stringatissime motivazioni, ha almeno colto i due poli intorno a cui si muove Stiamo tutti bene, romanzo d’esordio di Francesco Spiedo. È lo specchio d’una generazione, e un libro in cui malinconia e comicità si mescola, restituendo un certo modo di stare al mondo molto meridionale e molto napoletano. Una miscela ancora più riuscita in Non muoiono mai, l’ultimo lavoro dello scrittore che si autodefinisce figlio di «madre ansiosa e padre operaio».
Con Francesco ho avuto l’occasione di chiacchierare del suo personale metodo di scrittura, dello scrivere un romanzo e dello scrivere racconti e di tanto altro che scoprirete leggendo.
Come funziona il tuo metodo di scrittura? Ti dai un limite di tempo, di battute, di parole?
Nella vita tendo a essere una persona estremamente metodica, direi al limite dell’ossessivo. Ma privatamente. E allo stesso tempo sono piuttosto cabalistico: quindi ogni giorno scelgo un nuovo limite. Spesso è di tempo, raramente ragiono in battute o parole.
Mi siedo alle 17.23? Allora potrei dire 17+23 fa 40, quindi per i prossimi 40 minuti si scrive. Però purtroppo spesso c’è la vita fuori dalle pagine e devo ritagliarmi semplicemente il tempo che posso quando posso.
Cerco solo di scrivere sempre, ogni giorno, fosse soltanto per fare esercizio. Di solito resisto finché non mi arriva un’idea interessante, una frase, qualcosa che mi spinga a dire che è arrivato il momento di recuperare la penna o il PC e scrivere. Poi inizio e mischiando cabala, contingenze del mondo reale e ispirazione vado avanti. Una volta ho scritto due giorni di fila, senza né bere né mangiare: però era tutta roba da buttare.
Lavori meglio in un particolare momento della giornata?
Se attorno a me c’è calma. E silenzio. E cibo a portata di mano. E spazio per camminare. Questo significa che spesso mi ritrovo a scrivere nelle ore morte, dalle 14 alle 16 o dalle 22 alle 24, perché il mondo tace e riposa. La mattina presto la escluderei, quello è il momento in cui il mondo richiede la mia presenza e per scrivere devo assentarmi. Letteralmente. Quindi sì, direi che lavoro nel momento in cui non sono richiesto. Il cervello della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile.
Hai rituali o piccole abitudini che precedono o accompagnano la scrittura?
Ogni tanto cammino. Credo serva a far respirare i pensieri, ma probabilmente è solo per limitare il mal di schiena. Faccio quattro passi attorno alla scrivania, leggo ad alta voce quello che scrivo, spesso me ne vergogno o mi annoio da solo per cui cancello e ricomincio daccapo. E se non ho ancora ben chiaro cosa scrivere tendo a prendere appunti su fogli improbabili, su vecchie agende, su pizzini vari. Come se dovessi fare coagulare le immagini e le idee prima di scrivere.
Negli anni hai scritto e pubblicato diversi racconti su rivista. Come si riconosce l’idea giusta per un romanzo? E com’è fatta l’idea giusta per un racconto?
I racconti sono il mio amore proibito. Niente diverte come scrivere un racconto. È una sfida elettrizzante, difficile, però sostanzialmente più breve. Per quanto ti possa ossessionare l’idea di un racconto, questo si chiude in tempi minori. Allora credo sia questo: il tempo. Il tempo dell’ossessione, il tempo dello svolgimento, il tempo della possibilità.
L’idea per un racconto è breve, fulminea, esplosiva, si mantiene su un equilibrio che necessita di brevità (poche righe o una qualche decina di pagine). Ne riesci forse già a vedere ogni fase: inizio, svolgimento e fine. Anche se poi la prova del nove, perché sono un ingegnere e credo nel metodo scientifico, è sempre la pagina. Basta scriverla. Le storie hanno un potenziale e te ne accorgi, dopo un po’ che le corteggi, se hanno detto tutto quello che c’era da dire. Se quella del racconto brevissimo, breve o lungo era la loro forma oppure no. Se arrivi alla fine e dici basta, ci siamo.
Poi, certo, mi è capitato di aver scritto qualche racconto che potenzialmente avrei anche potuto trasformare in romanzo. Ma avrei dovuto cambiare qualche elemento e no, non abbiamo la prova del nove, quindi chi può dirlo? L’idea per un romanzo è chiaramente l’opposto. Mica devo ripetermi?
Come ti prepari a scrivere un libro? Fai schemi, abbozzi e cose simili oppure scrivi di getto?
Raccolgo un sacco di materiale che poi spesso non mi serve a niente. Non so perché continui a farlo, forse perché mi diverte. Sui racconti di solito mi basta appuntarmi un’immagine e l’idea centrale, quella che puoi raccogliere in una ventina parole (es.: Un uomo si accorge che ogni volta che getta qualcosa nel suo giardino ne cresce una pianta – di posate, di sigarette, etc.).
Quando penso di avere davanti un romanzo invece mi diverto a schematizzare i personaggi, le dinamiche, gli eventi. A costruire delle scalette abbastanza precise. Anche se poi il finale cambia sempre perché la vicenda a una certa sfugge allo schema e poi l’inizio pure si cambia perché non è più tanto adatto al nuovo finale.
Diciamo che quello che si salva, spesso, è la parte centrale, il cuore della faccenda, che se è ben pensato resta stabile e mi aiuta a ritrovare capo e coda. Altrimenti come si fa? Posso scrivere di getto una pagina, poi devo chiedermi sempre dove sto andando. È un modo per darmi un freno.
Quante revisioni fai? E come procedi per l’editing?
Di quello che scrivo? Almeno tre. Una ad alta voce. Una sullo stampato. Un’altra finale ad alta voce. Anche se, lo ammetto, questa operazione vale per un racconto breve. Se arriviamo già a due tre pagine, considera che mi fermo e mi rileggo.
Quindi per un romanzo è più il tempo di rilettura e revisione che il tempo di scrittura effettivo. Almeno ogni capitolo mi fermo e rileggo. Facendo attenzione a cose diverse: la prima è l’interesse, la seconda è la coerenza, la terza è lo stile. Una cosa che funzioni, una cosa che stia in piedi, una cosa che sia esteticamente valida. Mettiamola così.
E l’editing? Mi fido ciecamente, sia che si tratti di un racconto su rivista sia della mia editor in casa editrice. Spesso gli editor hanno idee interessanti e sempre pongono le giuste domande per capire meglio il testo. Anche un’osservazione sbagliata ti permette di dare delle risposte che regalano un aggettivo migliore, un colpo di scena, un giro di frase migliore. Per esempio: queste risposte avrebbero avuto bisogno di editing.
Come hai esordito?
Inviando una mail ruffiana il giusto a Fandango Libri. E allegando un testo interessante, suppongo.
Ci sono dei libri che ti fanno venire voglia di scrivere?
Tutti. Quelli bellissimi perché diamine vorrei arrivare anche io a scrivere così. E quelli bruttissimi perché diamine se hanno pubblicato questo perché dovrei farmi così tanti problemi? Anche le biografie dei calciatori: avrei sempre voluto fare il calciatore.
Stiamo abbastanza bene e Non muoiono mai sono i due romanzi pubblicati da Francesco Spiedo. Puoi seguirlo online su Instagram, come @francescospiedo, mentre facendo click qui puoi approdare su Itaca, il suo progetto di formazione, produzione e distribuzione culturale.