A leggere trama e cast di Don’t Look Up ci si allaccia le cinture per il solito blockbuster hollywoodiano. Così avevo fatto, quasi una settimana dopo la sua uscita su Netflix: merito (o colpa?) del digital detox natalizio.
Tuttavia, nonostante tutto, Don’t Look Up non è quello che sembra dall’esterno. Probabilmente, come tanti critici sostengono, non è un capolavoro: è un film manicheo, che vuole essere comico, ma prova a parodizzare una realtà che ha abbondantemente superato la finzione.
Eppure è un film di cui vale la pena parlare. La sua comicità disturbante porta a galla una quantità di temi che stanno definendo le nostre società: la polarizzazione, la caccia al nemico, il complottismo, la comunicazione scientifica.
Certo, sebbene duri due ore e mezzo, rimane molto in superficie. Nelle prossime righe però cercheremo di andare un po’ più in profondità.
La premessa è abbastanza semplice: una dottoranda e il suo professore scoprono una cometa che sta per distruggere la Terra – una fin troppo scoperta metafora del cambiamento climatico. La loro missione diventa avvertire l’umanità del rischio imminente.
Molto presto, tuttavia, scopriamo che il filo conduttore di Don’t Look Up è un’irrazionalità che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni.
La dottoranda Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) e il professore Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) si rendono conto di essere in un teatrino dell’assurdo.
La presidentessa degli Stati Uniti Janie Orlean (Meryl Streep), alter ego di Donald Trump, non presta la minima attenzione ai due. Kate è presa in giro sui social media, mentre Randall diventa un sex symbol. Sembra che a pochi importi qualcosa della cometa.
Ecco, se questo film fosse uscito qualche anno fa, sarebbe stato una divertente parodia dei grandi disaster movie, dove alla fine qualcuno o qualcosa salva il mondo.
Invece, nel 2021, la comicità di Don’t Look Up è disturbante. Quando ridiamo stiamo ridendo della nostra fine. Oggi più che mai l’assurdo è reale.
Addirittura il regista Adam McKay ha raccontato al The Atlantic che è dovuto tornare sulla sceneggiatura, pronta da prima della pandemia, per renderla «il 20% più pazza perché la realtà si era rivelata più folle del copione».
Uno dei primi punti di svolta è l’intervista di Randall e Kate al Daily Rip, un programma d’intrattenimento mattutino.
Gli intervistatori incalzano i due scienziati con le loro battutine, finché Kate scoppia. L’unico momento del loro intervento capace di catturare l’attenzione sui social media è proprio il suo disperato «moriremo tutti».
Randall, nonostante questo, diventa un’icona. I social media lo dipingono come «lo scienziato più sexy d’America». Man mano si trasforma sempre più in uno scienziato da salotto televisivo e arriva a essere il consulente scientifico della Casa Bianca.
Kate, al contrario, diventa il nemico di chi non crede nella cometa. Nei meme viene rappresentata proprio con tutte i tratti tipici del nemico: brutta, pazza, quasi minacciosa.
Umberto Eco, nel suo Costruire il nemico, spiegava che già i Romani rappresentavano «i barbari […] come barbuti e camusi». Rappresentare il nemico come diverso serve a rimarcare una distanza da lui o lei. Serve ad affermare, per contrasto, la propria identità: noi non siamo come loro.
È qui che il film diventa definitivamente manicheo. Lo scontro sfocia in due blocchi: uno, conservatore, che nega la crisi; l’altro che, invece, manifesta e si batte per risolverla. Anche per questo, su Variety, Peter Debruge l’ha definito un «Armageddon di sinistra».
I negazionisti alimentano assurde teorie del complotto. Kate, che impersonifica la rigida razionalità, prova a smontarle con fatti e dati. Qui c’è il suo grande malinteso: è convinta che l’evidenza basti per convincere e portare alla luce la palese follia.
Quando scoppia un incendio è probabile che molti si comportino in modo stupido. La ragione non arriva là dove vengono attivate parte recondite e primordiali del nostro cervello. Le emozioni, specialmente quelle molto forti come la paura, ci governano più di quanto ci piaccia credere.
Le prove scientifiche non bastano a placare il terrore e il dolore della fine imminente. Non bastano a dare un senso a qualcosa di così incomprensibile ai più.
È in questo terreno di panico e incomprensibilità che nascono tante teorie del complotto.
Pier Paolo Pasolini, nella sua ultima intervista, diceva che l’idea di un complotto «ci fa delirare» e, soprattutto, «ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità».
È più rassicurante credere che non esista nessuna cometa, che sia solo un piano di un manipolo d’intellettuali per «togliere la libertà» al popolo. È una narrazione che rende semplice trovare un nemico comune contro cui unirsi e battersi. È la narrazione dominante degli ultimi decenni: c’è un’élite da cui difendersi, spesso misteriosa, e poi c’è il popolo.
Poco importa che a difendere il popolo sia un’élite vera, di oligarchi nuovi e vecchi, che al momento dell’ormai inevitabile disastro è già pronta a scappare. L’unica cosa che importa è schierarsi: Look up o Don’t look up.
Non esistono sfumature. O sei con loro, con quelli che vengono a dirti che il mondo sta finendo coi loro calcoli e i loro numeri, oppure sei con noi, che ce ne sbattiamo. Così, anche quando la cometa è sulle loro teste, c’è chi preferisce non guardarla e far finta di nulla.
Don’t look up, nonostante i suoi limiti, mi sembra lasci questa domanda: c’è un’altra strada? O stiamo andando anche noi verso la fine?
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